Ho passato quasi tutte le estati della mia infanzia in Calabria, tra Soverato e Capo Rizzuto, un lembo di terra che abbraccia il Golfo di Squillace.
Erano gli anni Settanta e il versante jonico era ancora selvaggio e incontaminato.
Ancor più per me, se si considera che i primi due anni di soggiorno li passai in un agriturismo. Attenzione, non in una di quelle aziende agricole adatte alla vacanza come siamo abituati a vederle oggi, ovvero fornite di jacuzzi, centro massaggi, centro ippico, circolo della meditazione, piccolo approdo per la degustazione di prodotti tipici, confezionati in packaging da urlo.
No-no, questo era un agriturismo a pieno titolo.
Due contadini – marito e moglie – che parlavano quasi esclusivamente il dialetto calabrese, ti accoglievano prima in un cortile di terra battuta, in stile Ok Corrall – tra maiali e galline, mucche e tori (e il relativo carico di letame) – poi ti mostravano le stanze, a dir poco spartane. Tralascio i particolari per evitare di andare clamorosamente fuori tema.
Entriamo, invece, nel vivo della questione. I due gestori del B&B ante litteram erano davvero generosi, e l’autentico lusso era costituito dalla colazione. Ogni mattina ti facevano trovare, sul tavolo, latte, pane, burro e marmellata; tutto rigorosamente della Casa.
Probabilmente il “77 fu l’anno in cui bevvi, per l’ultima volta, il latte appena munto, crudo!
E presso di loro assaggiai, per la prima volta, una cosa che all’epoca non potevo ancora apprezzare: la ‘nduja, un insaccato a pasta morbida, piccantissimo, fatto con lardello, guanciale e pancetta e lasciato affumicare per 10 giorni. Oltre a mangiarlo sul pane, i calabresi lo usano per condire il ragù e la pizza… Un prodotto, al nord, molto difficile da reperire.
Lo trovo due settimane fa, a Vigevano. L’ultimo pezzo, esposto su un banchetto a una delle tante fiere agroalimentari della città.
E’ quello di Spilinga. Prendo, pago e porto a casa, ma prima mi faccio dare la ricetta (poi rivista) di uno spaghettino sporitissimo.
Ricetta
ingredienti
(per 2 persone)
- 160 gr. spaghetti
- 1 bicchiere di olio extravergine di oliva (possibilmente calabrese)
- Aglio, due o tre spicchi
- 2 acciughe sott’olio o sotto sale
- ‘Nduja
- Origano
- Vino bianco
- Pan grattato
Cuocere gli spaghetti (io ho usato gli integrali perchè avevo quelli) in abbondante acqua salata. Intanto versare il bicchiere di olio extravergine in una padella con l’aglio tagliato a rondelle e poi le acciughe. Fate imbiondire l’aglio e sciogliere l’acciuga; solo alla fine aggiungete un cucchiaio di ‘nduja – in modo che si stemperi bene – e l’origano.
In un’altra padella tostare, con un filo d’olio, il pan grattato fino a quando non diventa di un bel color biscotto.
Scolare gli spaghetti piuttosto al dente e passarli brevemente nella padella con l’olio.
Sistemare la pasta nei piatti e aggiungere il pangrattato. Servire subito.
Ho riportato la ricetta originale anche se io ho eliminato il vino bianco, che conferiva un sapore eccessivamente amaro al sugo.
Ecco adesso mi hai stuzzicato proprio l’appetito!
Sara sei eccezionale ,come vorrei saper cucinare!!!!Kisses
Ho seri dubbi sulla quantità dell’olio: un bicchiere per 190 gr. di spaghetti è un’esagerazione, direi meglio una perfidia lassativa. Soffriggere poi le acciughe assieme all’aglio significa “bruciarle” e conferire loro un sapore acre che va assolutamente evitato. Il pesce azzurro sotto sale (sardelle, acciughe, alacce ecc.) va sciolto senza che l’olio frigga. Non me ne voglia la signora Sara, provi le mie correzioni e me ne sarà grata.
Sante Bardini (Accademia Gonzaghesca degli Scalchi)
Gentile prof. Sante Bardini,
nessuno ha mai parlato di friggere l’acciuga, ciò che io intendevo è di scioglierla dopo che l’aglio è arrivato ad imbiondirsi ma l’olio è ancora sufficientemente caldo da consentire all’acciuga di ammorbidirsi e sciogliersi (un pò come nella bagna cauda anche se in questa preparazione l’aglio manco deve imbiondirsi), analogamente l’nduja. Tra l’altro l’olio per il soffritto, come lei saprà, non dovrà mai divenire così bollente da friggere nemmeno l’aglio perchè altrimenti anche questo virerà verso l’amaro e pure l’olio tenderà ad alterarsi.
Sulla quantità dell’olio siamo attorno ai 120 ml. e obiettivamente non mi sembra un’esagerazione (ma qui le dò atto: potevo essere più precisa), poi dipende da che bicchiere uno usa, di certo non mi riferivo ai calici aurei medievali.
E poi esiste anche una discrezionalità di gusto, non trova?
La ringrazio comunque per le osservazioni, forse è il caso che dia indicazioni più precise…
Cordialità
Dott.ssa Sara Melocchi
Leggo solo ora la ricetta ,
ti dico Sara che il signor Sante ha ragione.
La tua risposta non mi è piaciuta poco professionale. O
Onestamente non mi sembra di essere stata né scortese, né poco “professionale”; ho spiegato le mie motivazioni. Anzi, ho ammesso di essere stata poco precisa nelle indicazioni. Ma non si può piacere a tutti; me ne farò una ragione.
…”poco professionale”. .. Mah…
Ciao, da calabrese posso dire che la scelta degli spaghetti integrali nella ricetta è decisamente azzeccata… Nella piana di Rosarno in Calabria infatti si usa tradizionalmente una pasta integrale tipica molto ruvida chiamata Stroncatura, che si prepara proprio con aglio, olio, alici e peperoncino o nduja…
mi sembra che tra professori e dottoresse – a parte la dubbia scelta di presentarsi con titoli accademici non meglio precisati – i il cattedrattico e la dottoressa mi pare che non abbiano le idee molto chiare o meglio non sappiano assolutamente cosa significa fornire ricette. La cosa potrebbe significare la loro incapacità anche nel realizzarle . L’approssimazione regna qui sovrana .
Non viene specificato quale parte dell’aglio usare e come mai la ricetta preveda la discrezionalità del numero di spicchi ( e non mi si dica che è una scelta arbitraria: la ricetta deve essere precisa ed inequivocabile ) … vengono ritenute scambiabili tra loro le acciughe sotto sale con quelle sott’olio cosa che ritengo risibile oltre che denotare profonda ignoranza: nel primo caso si aumenta in modo esponenziale la componente salina del sugo del piatto e nel secondo accade che un olio di conservazione non meglio identificato si aggiunga a quello EVO .. non viene specificata la quantità di ‘nduja da usare … viene eliminato un componente essenziale ossia il vino bianco che consente di sfumare il soffritto aggiungendo una componente aromatica e non si capisce il perchè lo si elimini per togliere l’amaro. Forse chi scrive di vini non è molto esperta ..
scrivere per scrivere è davvero una cosa poco seria se non si hanno le conoscenze adeguate ….
a mio parere : ridicolo presentarsi con un titolo accademico non meglio precisato ed altrettanto ridicolo rispondere specificando il proprio in questo frangente. Mi riferisco al Prof. (di cosa??? ordinario??? boh!!) e alla dottoressa. Cosa fate giocate a chi lo ha più importante? E dimenticavo l’utilizzo di titoli accademici non precisandone il tipo è vietato.
fatta questa precisazione mi pare che entrambi non ne sappiano molto di comunicazione . L’autrice fornisce una ricetta in modo approssimativo, ritengo che un ingrediente valga ugualmente ad un altro , il prof. Correttore non dice niente di utile ma fa sfoggio di una pedante supponenza. Tralascio altre valutazioni.
Non viene chiarito il perchè si lascia la libertà di scelta nel numero degli spiccjhi d’aglio ( e non si racconti della discrezionalità e dei gusti di chi legge: la ricetta deve essere precisa poi sta ad ognuno fare varianti consone al proprio gusto) . L’autrice ha però dichiarato questa sua lacuna in modo grottesco. Non si sa quanta ‘nduja usare e il perchè nel ricettario la si nomina con la maiuscola. Si arriva perfino a ritenere scambiabili le acciughe sotto sale con quelle sott’olio forse dimenticando o meglio ignorando che le prime determinano un aumento esponenziale del grado di salinità al sugo mentre le seconde uniscono un olio di conservazione spesso di bassa qualità a quello EVO indicato del quale si suggerisce perfino la provenienza.
Patetico !!!
Viene infine eliminato il vino adducendo una motivazione inaccettabile . Una sfumatura del soffritto con il avrebbe conferito una nota aromatica interessante soprattutto nel caso si usassero vini aromatici. Una provocazione in tal senso: ad esempio perchè non provare ad unire uno Zibibbo per conferire un retrogusto dolce? Ma l’autrice elimina il vino perchè a suo dire conferisce al piatto un gusto amaro . Una grandissima castroneria che denota profonda ignoranza.
Io riterrei che invece di scrivere castronerie la prima e fare saccenti interventi di scarsa utilità il secondo entrambi invece di scrivere su forum farebbero meglio a leggersi e studiare l’Artusi
purtroppo viene invocata< da altro utente la professionalità .. non credo che il suo desiderio verrà esaudito in questa circostanza e con questi interlocutori.
professionalità che non è sinonimo di professionismo a mio parere sottintende un approccio serio e ragionato su quanto si , in questa sede,si presenta . basta leggere la lista degli ingredienti , la faciloneria con cui questa è stata stilata e l'approssimazione per rendersi conto dell'impossibilità di poter ambire a tale livello
Luca, ho deciso da tempo di non pubblicare più commenti inutilmente polemici ma anche quelli francamente ridicoli. Ma con te faccio un’eccezione.
Mi hai fatto sorridere in una giornata un pò mesta, magari sarà così anche per altri che passeranno di qui; leggendo i tuoi commenti, però, penso che quella dell’esecuzione della ricetta sia l’ultimo dei tuoi problemi. Un caro saluto. Sara