Un piatto estivo anche se l’estate non c’è.
Ho riproposto diverse versioni della panzanella. Alla fine, quella che vince è la solita.
Il piatto è toscano, mi par di Siena, ma non ci giurerei; so che si prepara anche a FIrenze e un pò in tutta la Toscana. La fonte è l’autorevole Giovanni Righi Parenti, il nume tutelare della cucina toscana.
Egli racconta che la più antica ricetta scritta la si deve al Bronzino, che ne parla in un poemetto sulla cipolla. Parliamo del XVI secolo.
Piatto dunque datato, povero che più povero non si può e che, al tempo, prevedeva anche un’erbetta rustica chiamata porcellanetta (la portulaca) oltre al basilico e alla rucola. Chiaramente è presente la cipolla, ma non ancora il pomodoro. Per questo occorre attendere.
La panzanella è dunque una zuppa fredda, preparata per ovviare alla scarsità di viveri con le poche cose di cui si poteva disporre. Va da sé che ne nacquero diverse varianti.
Ma via via che il racconto diventa avvincente, il Giovanni si fa tignoso: la panzanella sarà anche un piatto povero ma, almeno a Siena, il vero protagonista non è il pomodoro, nemmeno la cipolla ma, guarda un pò, il basilico greco, quello piccolino a cespuglietto.
Inoltre, sempre il basilico, non sarà distribuito così…”alla carlona”, ma sarà tritato finemente, perchè solo in codesto modo l’aroma sprigionarà la sua magia. Capito? Magia…
Le cipolle, poi, saranno nuove. E fin qui ci vien facile. I pomodori maturi, il pane bigio – cioè raffermo e ovviamente senza sale – ma…ma mica penserete di usare l’acqua del rubinetto? No, lui ci consiglia – sebbene ne riconosca la difficoltà – solo acqua di pozzo, quella profumata di muschio, anche se così facendo, al giorno d’oggi si rischia di diventare radioattivi.
E quindi l’olio. Anche qui una lunga parentesi per spiegarci che l’olio sarà quello a soffice spremitura, ricavato da olive brucate a mano, senza acidità, fresco, piccantino, soave, non angoloso e tutto profumo. Esauriti tutti gli aggettivi, il Righi Parenti passa dunque alla preparazione.
Il pane vecchiotto, viene bagnato in acqua fresca e sgrondato entro un panno, per evitare che diventi la spugna molliccia da dare alle galline.
Il tutto condito con basilico, cipolla, pomodoro, olio di oliva extravergine, sale, pepe e un pizzico di aceto rosso.
Tutto qui? NO!
Giovanni ci intrattiene ancora, perchè parlando d’ aceto ci son due varianti, rintracciabili specialmente nella zona del Chianti: quella della contadina e quella della padrona.
La prima abbonda in cipolle e aceto e lesina in olio; la seconda si arricchisce di uova, tonno, acciughe, ha tanto olio e poco aceto.
Ma il cetriolo? Il cetriolo lo troviamo in quei virtuosi di Firenze che aggiungono così croccante freschezza.
Le “panzanelle” non finiscono qui ma …si sappia solo che nel 1865, una panzanella storica venne servita da Ricasoli al Re d’Italia Vittorio Emanuele II. Non fu certo un caso: i colori patri potevano fare bella mostra di sè anche a tavola.
Ricapitolando: pane toscano sciocco raffermo ma non troppo, pomodori maturi (tipo costoluti o ramati), cipolla rossa novella, cetriolo, olio extravergine d’oliva, aceto di vino rosso, sale e pepe.
Dosi non pervenute. Direi che si può fare ad occhio senza correre il rischio che qualcosa vada storto.
P.s. a me le verdure piacciono tagliate non troppo grandi e possibilmente di analoga dimensione. Ma va a gusto.
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