Le colline di San Colombano si trovano alle porte di Milano e si innalzano lungo il Lambro, tra la Pianura Lodigiana e quella Pavese. Sì, lo so è una di quelle cose che non ti aspetti, dei vigneti nella provincia di Milano… Ricordo come, pulzella fragile e inesperta, rimasi colpita dall’incredibile notizia… Bé ma cosa pretendete da me che sono cresciuta tra fabbriche e industrie a Sesto San Giovanni, la cosiddetta piccola Stalingrado italiana? Il massimo della natura era, allora, per me il parco di Monza, perdincibacco!

 

La leggenda vuole che sia stato il monaco irlandese San Colombano, arrivato in Italia nel VI secolo, ad insegnare agli abitanti del luogo come coltivare la vite e ricavarne il vino.  Oltre a San Colombano gli altri comuni vocati per questa Doc sono quelli di Graffignana, Sant’Angelo Lodigiano, Inverno, Monteleone e Mirandolo Terme.  I vitigni coltivati nella zona sono la Barbera, la Croatina, l’Uva Rara e il Merlot per il Rosso; lo Chardonnay e il Pinot Nero più altri, per il Bianco. Parlando del San Colombano Rosso è un vino dal color rubino intenso, vinoso al naso con bei frutti rossi come marasca e mora, floreale con richiami alla viola e alla rosa, gusto asciutto e intenso. L’abbinamento consigliato è con gli antipasti di salumi, le paste ripiene, il risotto con gli ossibuchi, i piatti a base di carni arrostite, la tempia di maiale e la cassola.

 

Il  San Colombano che ho provato io è una Riserva 2004dell’Azienda Pietrasanta i cui vigneti sono posti in località Costa Regina. Carlo Giovanni Pietrasanta è il patron dell’azienda e si occupa, da anni, di tutte le fasi di produzione del vino, dalla vigna alla cantina. Il sistema d’allevamento è il cordone speronato, con 5000 ceppi per ettaro e vigneti lasciati inerbire. Il vino che ho degustato io è un’annata 2004, caratterizzata da un clima piuttosto regolare e differente rispetto all’annata precedente piuttosto siccitosa. Il vino si presentava rubino intenso con unghia granata, al naso intenso, complesso con note di spezie, cacao, tabacco e fiori appassiti che si ripetevano al palato con lunga persistenza. Come si vedrà, quindi, un vino ben diverso da quello che normalmente ci si aspetterebbe da un San Colombano.  Questo la dice lunga su quello che può essere una buona annata, la denominazione riserva, un lungo affinamento in bottiglia e soprattutto l’uso della barrique. Sì, lo ammetto, non sono una fan di questa piccola botte da 225 litri che arricchisce i vini di profumi (ruffiani) rendendoli sì buoni, ma a mio modesto parere tutti uguali. Non è un preciso riferimento al vino degustato, per carità, ho bevuto troppi pochi San Colombano nella vita per lanciare un’invettiva contro questa cantina e poi, per principio, non lo farei mai. Credo infatti che tutte le scelte siano rispettabili e che ogni produttore sia libero di fare vini che vuole. Il discorso sulla barrique sarebbe lungo e lo riprenderemo più avanti…

 

Tra le tante cose vi segnalo una buona idea: il “vino parlante” un etichetta ripiegata su se stessa che ho trovato su questo San Colombano. Molte delle informazioni di questa chiacchierata le ho prese da lì: un bel modo per fare comunicazione sul vino. Per scoprire l’elenco dei vini parlanti andate quì.