osso buco alla milaneseEcco un altro caposaldo della  nostra cucina, una cosa che noi (milanesi) facciamo in modo diverso da tutti gli altri e, occorre dirlo?, incomparabilmente migliore* :mrgreen:

Con queste parole Marco Guarnaschelli Gotti è certo di dire cosa giusta e non teme la suscettibilità di chi, altrove, potrebbe rivendicare la bontà della sua ricetta regionale; ma io mi associo a lui, anche nel dire che l’ossobuco alla milanese è un piatto pieno di insidie, e, tra tutte, la fretta è la più minacciosa.

Bisogna rosolare con cura e pazienza, mettere i liquidi poco alla volta, confidare nella cottura lenta e bisogna tritare finissimi (ma proprio finissimi) l’aglio e il prezzemolo della gremolada, cosa che molti sembrano invece bellamente ignorare. Inoltre ci sono vari attentati, uno su tutti il pomodoro.

Pensate quello che volete, ma il pomodoro non ci va e sono così intransigente su questo punto che ti avverto lettore: se scopro che lo metti, ti bloccherò l’accesso a questo sito per i prossimi sei mesi 😉

Non ne faccio solo una questione filologica – il pomodoro non fa parte della cucina lombarda nonostante l’industria alimentare lo avesse ormai inscatolato e diffuso in tutta Italia da metà Ottocento – ma principalmente di gusto. L’ossobuco è un piatto saporito, aromatico, in cui la salsa gremolada – su cui si dovrà aprire un piccolo inciso – la fa da padrona; la nota acidula del pomodoro (poco o tanto che ne mettiate) non solo stona clamorosamente, ma è stata introdotta laddove l’olezzo di certe carni ne denunciava la poca freschezza. Insomma, non c’entra un tubo.

Altro appunto che il Gotti avanza riguarda l’acciuga. Su questo punto io sono meno rigida: non solo il milanese era sicuramente più avvezzo al pesce conservato (la cui prassi era consolidata da secoli) che al pomodoro, ma la nota sapida dell’acciuga conferisce alla “gremolada” un fascino tutto speciale.

La gremolada è una salsa, non una guarnizione da mettere in cima alla carne a fine cottura, quindi, prima di unirla all’ossobuco (anzi, al suo intingolo di cottura) questa andrà mescolata in modo che tutti i suoi componenti si amalgamino perfettamente, ed evitare così che si sparpaglino in modo anarchico e poco omogeneo : il limone là, il prezzemolo tutto qui, l’acciuga non si sa bene dove e l’aglio tutto nell’intingolo.

Sicché il mio consiglio è quello di tritare tutto finemente, grattuggiare con una fine grattugia anche il limone e mescolare molto bene gli ingredienti in una ciotola con quella piccola noce di burro ammorbidito che alcuni ricettari** consigliano di introdurre a fine cottura. Si verrà a creare quasi una pomata che andrete poi a distribuire non sopra la carne, ma nel liquido di cottura, che non dovrà essere né troppo né troppo poco. Una volta stemperata bene la salsa, si procederà a girare un paio di volte (molto delicatamente e con una larga paletta) la carne perchè questa la catturi in maniera omogenea su tutta la sua superficie.

Ricapitolando:

Prezzemolo: fine, finissimo…come l’aglio e l’acciuga. Usate la mezzaluna, un coltello affilatissimo o un mixer con una lama piccola.

Pomodoro: nella ricetta più antica, settecentesca, il pomodoro non ci va, poi, alcuni ricettari – compreso l’Artusi e protocolli ufficiali -, iniziano a proporlo (chi più, chi meno). Non fatelo.

Limone: pur non essendo un frutto lombardo è stato sempre molto ricercato e consumato fin dal medioevo. A partire dal Settecento è usato massicciamente nella cucina popolare in luogo delle più costose spezie. Il limone ci va.

Acciuga: è consideranta una variante, per cui ci allontaniamo dall’ortodossia della ricetta originaria. A discezione (io la metto).

Farina:  utilizzata in passato per garantire maggior morbidezza alle carni, oggi non ha più questo carattere prescrittivo. L’Artusi l’aveva levata salvo poi aggiungerla alla fine, quale legante della salsa. Mi sembra una prassi contraddittoria. Io gli ossibuchi continuo a infarinarli.

Erbe aromatiche: alcune autorevoli fonti*** insistono sull’introduzione di salvia, rosmarino e maggiorana. Sono considerate delle varianti poco diffuse. Io le lascerei nell’oblio.

Midollo: il midollo, vera prelibatezza di questo piatto, ci deve essere e se è tanto meglio ancora. Evitate fette con ossa spugnose e quindi vuote. Il midollo, insieme al tessuto connettivo di cui è ricco questo taglio, contribuirà a creare la caratteristica glassatura (diffidate di chi vi inganna introducendo la demi glace: è come la panna nella carbonara!). Per la cronaca: i milanesi usavano estrarre il midollo con un apposito cucchiaino, molto sottile, chiamato allusivamente esattore.

Addentriamoci ora nell’esecuzione della ricetta, fermandoci un attimo per considerare l’abbinamento.

Classicamente c’è il risotto alla milanese. Sempre il Gotti fa una giusta riflessione circa l’opportunità di abbinare un piatto così importante, con un altro altrettanto importante: due prime donne in una sera sono decisamente troppe. Sebbene il connubio sia sicuramente riuscito, lui propone di provare con un risotto “più leggero”, come quello alla parmigiana. E sia.

Tuttavia io lo accompagno più spesso con il purè, sebbene alcuni lo amino anche con la polenta. Insomma, le possibilità mi sembrano significativamente numerose, anche per il goloso che, volendolo mangiare tutti i giorni, desidera avere delle valide varianti.

Ecco, io due dritte ve le ho date, poi potete tranquillamente continuare a cucinarlo come preferite. 🙂

Vino consigliato: Sassella valtellinese o Cellatica bresciano.

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* M. Guarnaschelli Gotti, La cucina milanese, Franco Muzzio Ed., 1991

** A. Boni, Il talismano della felicità, Colombo ed., 1998, p. 571

*** Riva, Nistri, Paolazzi, Per un codice della cucina lombarda, Atlante tipologico e nutrizionale di 100 formulazioni regionali, Regione Lombardia, II° ed. 2001

ossobuco

Ricetta

ingredienti

  • Ossibuchi di vitello (geretto di vitello, possibilmente il posteriore a metà del muscolo e con sezione d’osso non spugnosa e ripiena di midollo), 4 fette di circa due dita di spessore ciascuna
  • Cipolla (se la trovate fresca meglio), 1 piccolina
  • Prezzemolo, una generosa manciata (tritato: 2 cucchiai)
  • Vino bianco secco a temperatura ambiente, 1 bicchiere
  • Burro, 80 gr  circa + una piccola noce
  • Aglio, 1 spicchio
  • Limone, buccia poco più di metà
  • Acciuga sotto sale, 1
  • Farina 00, q.b
  • Brodo di carne ottimo, qualche ramaiolo
  • Sale, pepe

Prenete i vostri ossibuchi e incidete in 2 o 3 punti il tessuto connettivo intorno alla fetta. Evitate di tagliare le zone di congiunzione dei fasci muscolari o in maniera troppo profonda la carne, la fetta si disferà. Queste incisioni eviteranno che la carne si “arricci” in cottura. In un tegame di rame stagnato o alluminio fate palpare il burro con la cipolla, tagliata finissima, a fuoco dolce (ci vorrà anche 15 minuti). A cottura toglietela dal tegame, spremete tutto il burro che riuscite con un colino, e che riemetterete nel tegame, e riservate la cipolla.

Infarinate la carne, battetela per togliere l’eccesso di farina e poi adagiatela nel tegame con il burro caldo. Fatela rosolare da ambo i lati, in modo che prenda un bel colore dorato. Aggiungete la cipolla, abbassare il fuoco e bagnare con 1 dl di vino lasciandolo sfumare lentamente. Regolate di sale e pepe. Bagnare con un ramaiolo di brodo e coprire il tegame con un coperchio, lasciando cuocere a fuoco moderato per 1 ora e mezza circa, aggiungendo via via poco brodo secondo la necessità. Di tanto in tanto girate la carne delicatamente e con una larga paletta (non con la forchetta o il cucchiaio perchè la carne potrebbe rompersi). Gli ossibuchi dovranno diventare molto teneri, tanto da staccasi facilmente dall’osso, e il fondo di cottura glassato e mostoso. Pochi minuti prima di ritirare la carne aggiungete la gremolada (realizzata come indicato nell’introduzione) al fondo di cottura. Fate in modo che si stemperi alla perfezione e poi girate un paio di volte la carne in modo che la salsa vi si distribuisca in maniera uniforme. Portare in tavola subito.

Con questa ricetta partecipo al contest di Cucina ScacciapensieriIl mio piatto forte

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