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Insomma, cosa stavamo dicendo? Ah sì, la pausa estiva!

Una pausa estiva lunga quasi una stagione – è dal 15 luglio che non ci si vede! –  ma che mi ha permesso di visitare luoghi speciali, ricaricare le pile, fare mente locale per una nuova idea di food-blog.

In questi due mesi che mi separano dal pesto di sedano e avocado, ho fatto in tempo ad andare in Sicilia, attraversarla, e tornare per raccontarvi un pò di cose nonché regalarvi una ricetta tanto semplice quanto buona.

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La Sicilia è bellissima. Di una bellezza quasi commuovente.

Non ha nemmeno le sembianze di una regione, piuttosto ricorda più quelle di un continente data la sua incredibile varietà geografica e di civiltà e culture che si sono stratificate nel tempo, lasciando un segno indelebile e ricco di fascino, ovunque.

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La lunga e disordinata carrellata fotografica  – che spero non venga interpretata come la versione moderna dell’atroce “serata delle diapositive” – illustra brevemente la mia vacanza on the road, che si è concentrata maggiormente su due zone: la punta sud, ovvero la zona del ragusano, di Modica e di Siracusa e la punta nord occidentale, tra Alcamo e Marsala.

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Ho alloggiato a Modica, nella sua campagna. Ho scoperto – da pochi anni – che al mare è meglio stare in campagna. Che siate degli asociali andanti o dei lavoratori stanchi, tenete presente alcuni validissimi motivi:

– si dorme meglio: c’è più silenzio e meno umidità (a meno che voi non siate del partito ” lo sciabordio delle onde è così romantico e concilia il sonno”)

– i posti sul mare sono ambiti da tutti. Leggasi: turismo denso, chiassoso e ciabattone, costi sporpositati, andirivieni fino a tarda notte

– in campagna ci sono stupende dimore sapientemente riattate allo scopo, circondate da verde e… basta

– le dimore suddette dispongono, normalmente, di poche camere, ma non è detto che siano più costose del due stelle sul mare con la tenda della doccia rotta

– se siete fortunati, la mattina vi porteranno cannoli, ricottine fresce e marmellate casalinghe

– se siete sul mare e non siete degli “itineranti”, difficilmente dedicherete del tempo per inoltrarvi nell’entroterra. E vi perdereste molto.

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Modica è un’elegante cittadina con un cuore mondano che si snoda lungo una via scintillante di vetrine e ristoranti – più o meno turistici – ma da cui spicca uno dei suoi gioielli più belli, la supenda cattedrale barocca. Per trovare qualcosa che non sia la taverna che espone le proprie specialità su stampe fotografiche ormai cotte dal sole, dovrete spingervi verso le impervie scalinate che conducono al suo centro medievale complicato e arroccato su un lato della collina.

E’ da uno di questi ristoranti che arriva la ricetta di questo post (in fondo), locale che passa alla storia col nome decisamente poco “appetitoso” di Vacanze Modicane, ma caratterizzato da una cucina piuttosto ricercata e genuina.

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Giusto per fare un po’ l’opuscolo turistico, vi dico che Modica è nota per il suo cioccolato dalla consistenza “polverosa” grazie ad una lavorazione a freddo che non consente ai cristalli di zucchero di fondere completamente.

Se siete degli appassionati del genere è d’obbligo una visita alla Dolceria Bonajuto, la più antica cioccolateria di Sicilia, in cui, oltre a un piccolo museo allestito nelle vetrine del suo locale, troverete quantitativi imbarazzanti di cioccolato variamente aromatizzato, confezionati in un grazioso packaging, e ottimi cannoli siciliani farciti al momento. Tuttavia, se avete ospiti numerosi, la cosa migliore è farsi consegnare un vassoio di scorze vuote sul palmo della mano destra e  un sac a poche ben imbottito su quello della sinistra. A casa farai da te. Non ve ne pentirete.

Tornando al cioccolato, tra i gusti di cioccolato che ho provato e che valgono il viaggio ci sono quello al cardamomo, al pepe e al nero d’avola. Lasciate perdere il tentatore gelsomino, vi sembrerà di avere in bocca una saponetta.

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Ci siamo chiaramente lasciati andare a sollazzi vari e uno di questi non poteva che  essere quello gastronomico. Mi interessava molto continuare ad esplorare la pasticceria sicula, quella dotata di una strana quanto unica alchimia che la rende, ai miei occhi, la migliore al mondo: è dolce ma non stucchevole, barocca ma mai kitch, sonotuosa ma non snob e possiede un eccezionale spettro di sapori, graziati dall’eccezionalità dei frutti della sua terra.

Dopo Bonajuto la meta è stata Noto.

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Noto è un’elegante e curatissima cittadina a pochi km da Modica. E’ profondamente turistica e lo sa.

La via principale è punteggiata di trappole per turisti e da un numero considerevole di caffè e pasticcerie. Io ero qui per una di queste.

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Secondo la Lonely Planet a Noto c’è la gelateria più buona del mondo: si contendono il titolo la pasticceria Costanzo e il Caffè Sicilia il cui titolare, Corrado Assenza, avevo avuto modo di vedere due anni fa alle Strade. La questione sembra sia stata risolta così. La palma del miglior gelato va a Costanzo, mentre il Caffè Sicilia detiene quella della migliore granita. Non so se è così, ma ho avuto modo di assaggiare la granita al Caffè Sicilia. Una degustazione a dir poco eccezionale: mandorla (l’irrinunciabile),  pesca e basilico, pepe e fichi.

L’arte della granita non si può improvvisare e me ne sono accorta proprio in Sicilia, sua partia, degustando una quantità di granite che nemmeno Poldo con i panini.

Ne ho assaggaite di buone, mediocri, buonine, pessime, eccellenti. La questione è sicuramente il sapore ma anche la sua cremosità che deve essere marcata senza però farla assomigliare ad un gelato.

In questi due luoghi di perdizione troverete anche un vasto assortimento di cassate, cannoli e dolci meravigliosi.

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Poi un giorno abbiamo deciso di spingerci ancora più giù.

Finis terrae. Portopalo di Capo Passero, Marzameni e giù di lì, dove il mare ha colori incredibili, quasi irreali. L’ultima foto, olte al trittico con il mitico Carretto, appartiene al gruppo di quelle fatte laggiù e vi posso garantire che non è stata fotoritoccata (ho usato solo un polarizzatore).

Abbiamo mangiato un fritto misto di paranza sul mare, una di quelle cose che non facevo dai tempi delle vacanze in Grecia negli anni Novanta. Questa zona, non faccio fatica a dirlo, è incantevole e trasmette una pace senza fine. Abbiamo fatto una passeggiata lungo la strada pedonale che costeggia il mare e ci siamo imbattuti nel Carrettino Slow food. Non ho avuto il piacere di assaggaire nulla poiché avevamo appena pranzato. Ma se ci passate voi fatelo e ditemi come è andata.

capo passero

A Marzamemi, un paese che sembra più un plastico da quanto è perfetto, ci siamo imbattuti in una fantastica granita, in locali dalle sedie graziosamente dipinte e in cartelli che inneggiavano la gloria locale, i pomodorini Pachino (che in realtà dista pochi km).

I pomodori Pachino, mangiati in loco (ma anche a 5 km di distanza) non hanno nulla a che vedere con quelli che arrivano da noi (leggasi da Villa San Giovanni in su). Certo sarà una cosa scontata da dire, ma onestamente credevo che una confezione da 125 g che arriva “da noi” e che paghi a peso d’oro, in packaging che si vogliono distinguere, con tanto di logo Igp pensavano che avessero in comune con i loro parenti almeno il profumo. Nisba.

Andate (là) e magiatene tutti. Anche a merenda o colazione. Certa che non rimpiangerete il cornetto surgelato del bar.

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Qui sopra, invece, potete osservare alcuni particolare di un curioso ristorante situato all’Ortigia, il quartiere fighetto di Siracusa. L’Ortigia è un’isola attaccata al resto della città da un ponte ed è stata di recente oggetto di un restauro importantissimo che l’ha resa una zona molto chic ed elegante, presa d’assalto da turisti, stranieri e non, che hanno fatto man bassa di appartamenti, in una zona che di lì a poco sarebbe stata dichiarata patrimonio dell’UNESCO.

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Dicevamo ristorante…a Siracusa ci siamo accomodati alla Trattoria “La Foglia” un posto che affascina più per gli arredi e il contesto che per la cucina, che comunque rimane niente male. La caratteristica di questo posto, oltre al patron veneto che prende le ordinazioni con il cappello e rimarca la sua estraneità ai fornelli – di cui si occupa la moglie sicula – è l’arredo. Più che un ristorante sembra il negozio di un rigattiere, ma ciò conferisce al locale un fascino incredibile.

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Tovaglie della nonna fittamente ricamate, differenti per ogni tavolo, pizzi e centrini a impreziosire una tavola già sufficientemente “barocca”, cuscini a punto croce su panche e sedie. Una meravigliosa tenda (ma che potrebbe esere anche una tovaglia o un copriletto) fa da separè con l’esterno. Bicchieri e piatti volutamente spaiati. Un dehors in cui sono piazzati, con finta noncuranza, tavoli Ottocento insieme a sedie imbottite in velluto e brocche, alzatine e tegami in rame impreziositi da bouquet di piante aromatiche e fiori secchi. Qui ho assaggiato una crema al limoncello buonissima, che ricordava più un incrocio tra la crema pasticcera e lo zabaione che un liquore, ma tant’è…

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Dimenticavo di dire che a Siracusa ho trovato i cannoli più buoni mai assaggiati. Chiaramente si parla di una mia personalissima classifica. E chiaramente non ricordo nemmeno il nome della pasticceria, anche se è piuttosto nota, ma fuori la zona antica e più glamour di Siracusa.

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Poi esauriti i giorni ci siamo spostati verso Trapani. Ci siamo fatti prosciugare  le cornee al caldo di Segesta, abbiamo attraversato il deserto siciliano, siamo passati a Trapani e Marsala, tentando, al ritorno, di centrare almeno la carreggiata giusta, ci siamo spinti verso le saline e poi, un bel giorno, un giorno deciso di avventurarci verso Erice.

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Erice è un piccolo paese arroccato su un monte da cui si può godere di una magnifica vista che abbraccia tutto Castellammare del Golfo.

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Ad Erice non ci sono capitata per caso, ovviamente. Ad Erice c’è la più famosa (o una delle più famose)  pasticcerie di tutta la Sicilia quella di Maria Grammatico. La storia di questa pasticceria e della sua fondatrice è molto bella e la potete leggere qui. Io mi sono procurata furtivamente un cabaret di paste miste da introdurre altrettanto furtivamente in hotel. marito e figlio non ne potevano più di queste soste.

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Quindi, se decidete di passare le vostre vacanze in Sicilia, prevedete almeno un kg in più a settimana se siete bravi, un paio se non riuscite a trattenervi davanti a niente e vi scofanate l’impossibile.

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Insomma è il caso che stringa o c’è il rischio che questo post esca a novembre, quando ci saremo tutti dimenticati delle vacanze e saremo già tutti dietro a brasati e polente.

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Vi lascio quindi questa ricetta molto semplice ma particolarmente appetitosa. Gli ingredienti sono fondamentali, per cui non sostituite il guanciale con un altro, le cipolle con quelle del contadino di fiducia o i pomodori con la salsa (seppur buonissima) della nonna di Caserta. Idem per il formaggio, niente parmigiano ma solo ragusano stagionato.

capopassero6 (1 of 1)Ricetta al volo per 4 persone:

Gli ingredienti sono:

Mezzi paccheri 280 gr, 2 cipolle di Giarratana di media grandezza (occhio pechè alcune sono grandi come piccole angurie), diciamo 15 cm di diametro, guanciale del maialino nero dei Nebrodi (una qualità molto stagionata e piuttosto “magra” …va bene ridete pure..), due fettine a testa più una per il sugo, pomodorini di Pachino o pixel siciliani, 500 gr, olio di Chiaramonte Gulfi, 3 cucchiai, Ragusano stagionato, un cucchiaino a testa, pangrattato, 1 cucchianino a testa, sale pepe

Spaccate in due i pomodori e fateli cuocere in olio con un pezzettino di cipolla e di guanciale leggermente rosolato.  Una volta appassiti passateli, tirate la salsa ottenuta e poi salate e pepate. Nel frattempo fate appassire dolcemente con poco olio le cipolle tagliate sottili. Mentre la pasta cuoce fate abbrustilire le fettine di pancetta a piasta calda ma a fuoco non troppo vivace, le fettine dovranno avere uno spessore di circa 1,5 mm. Tostate a secco del pangrattato e mischiatelo con il formaggio grattugiato con rapporto 1:1

Scolate la pasta al dente. Passatela in padella con la salsa e impiattate aggiungendo le cipolle e il guanciale. Portate in tavola con pangrattato e formaggio in ciotoline individuali.

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