panpepato

Mettetevi comodi perchè la cosa andrà un pò per le lunghe.

Stavo cercando la ricetta dei pici poi, come spesso succede, mi sono imbattuta in qualcos’altro che ha stuzzicato maggiormente la mia immaginazione culinaria, sicché ho momentaneamente abbandonato i pici nel cassetto e mi sono gettata alla ricerca della ricetta del Panpepato. Un’idea decisamente peregrina.

Il Panpepato oltre ad essere una delizia per il palato – sebbene i cuori deboli dovrebbero starne alla larga – ha anche una lunga e leggendaria storia, come si conviene a un dolce medievale.

La disamina di tutte le ricette, sul web e non, non è stata certo semplice, poi mi è accorso in aiuto un documento interessante, un PDF  che non riesco (per mia chiara inettitudine) a linkare. Per gli interessati, prego contattarmi via mail. Ho scelto una delle versioni più antiche, sebbene il dolce non abbia subìto nel corso del tempo importanti e sostanziali modifiche (a parte l’introduzione del cioccolato). 

Mi piaceva però l’idea di riprodurre, più o meno fedelmente, il gusto più rustico di questo dolce apparentemente nato per caso.

Ora, la solite leggende vedono suore e badesse in pole position per contendersi la maternità del pane: la prima riguarda una fantasiosa monaca che, sul finire del XII secolo, realizza un pane speziato di origine orientale sostituendo la frutta fresca dell’originale con quella secca e candita, che era di casa. Poi c’è la Berta, altra monaca di gran cuore che per sfamare la popolazione in carestia distribuisce, a destra e manca, pani molto sostanziosi a base di miele e frutta candita. Infine tocca alla suora pasticiona, Leta, che per riutilizzare spezie e frutta secca accidentalemente rotte e mescolate, piglia tutto e sbatte in un tegame insieme a zucchero e miele.

Leggende a parte, il primo documento che cita il panpepato risale al 1205 ed è un documento contabile dell’Abbazia di Montecelso (SI) che usava farsi pagare le tasse con questo dolce. E’ ragionevole supporre, quindi, che il panpepato fosse già largamente diffuso. Nel 1370 il panpepato era diventato un prodotto “di lusso” e richiestissimo perfino in città lontane come Venezia. 

Tuttavia, per il suo elevato valore energetico, fu anche adottato come Razione K dalle milizie senesi durante le campagne militari del 1550. Un’idea che verrà rivalutata nel 1911, quando la Ditta Parenti prese a produrre panforti quadrati per i soldati di stanza in Africa.

Ultima notazione storica: il Panpepato è antecedente (e anche di parecchi secoli) al Panforte margherita, inventato  nel 1879 da Enrico Righi (quello della Pasticceria Parenti) per onorare la regina di Savoia. Il vero antenato del panpepato è invece un altro tipo di panforte, più simile ad una focaccia, e farcita con frutta fresca e miele. La frutta, che fermentava per qualche giorno nel pane, sfornato ancora un pò umido, gli conferiva quel sapore vagamente acidulo da cui deriverebbe il nome.

Per lungo tempo furono solo monasteri, conventi e farmacie a produrre questo dolce,  in virtù della loro maggior disponibilità a procurarsi le preziose spezie orientali. Poi, a qualcuno deve essere venuto in mente di dire che i panforti avevano un potente effetto afrodisiaco, e i monasteri smisero di produrli. Forse, per accentuare maggiormente questo effetto, nel XVIII si decise di aggiungervi anche il cioccolato. Una prelibatezza ai limiti della lussuria, e il panpepato divenne un dolce molto in voga tra gli aristocratici.

Passiamo alla ricetta. O meglio alle ricette. 

Dunque, l’antica ricetta prevedeva l’uso di frutta, melone massimamente, insieme ai fichi, oltre a qualche agrume, soprattutto arance, il tutto bollito (e candito) nel miele e poi mescolato con mandorle e noci in un recipiente in cui era stato impastato ancora miele con farina e spezie. Il composto, che risulatava  piuttosto tenace, veniva diviso in porzioni foggiate come pani rotondi, un pò rialzati al centro, proprio come delle pagnotte. Col tempo la cupola verrà abbassata, facendogli assumere la classica forma piatta che oggi conosciamo. Analogamente è un’acquisizione relativamente recente l’uso dell’ostia per non far attaccare il panforte in cottura; anticamente veniva usata solo la farina (e funzionava). In ogni caso, la ricetta antica può essere solo ipotizzata. Nei Capitoli del forno de “La Storia dal Libro delle memorie” (1595/1677), documento conservato nell’archivio comunale  di Buonconvento in provincia di Siena, sono fornite solo poche indicazioni circa gli ingedienti, le cotture e i vari aspetti tecnici per la realizzazione del dolce.

E’ quindi bene tralasciare le esigue indicazioni del documento se lo scopo è quello di ricostruire  una ricetta vera e propria anche perchè, dico io, sebbene l’idea di stilare un disciplinare fosse evidente, è anche vero che queste poche tracce lasciano supporre che una prassi gastronomica decisamente anarchica andasse per la maggiore in ogni contrada.

Del resto cambiamenti – per lo più dipendeneti da nuove acquisizioni tecniche – ce ne sono stati nel corso del tempo. Il dirigente di una nota industria dolciaria senese sosteneva non gli fosse più possibile trovare il “macfì” (di cui non so nulla!) cioè uno speciale zucchero di canna non completamente raffinato che conferiva al panpepato un sapore speciale, da dolce d’altri tempi, e oggi perduto per andare incontro a gusti più convenzionali.

Ma torniamo agli ingredienti, cercando di dare un minimo di ordine cronologico agli sviluppi nei secoli.

Secondo un manoscritto (l’epoca non è chiara: prima si parla di XVIII secolo e poi di 1675), per il panpepato occorrono 15 ingredienti:

  1.  il miele
  2. lo zucchero
  3. la farina di grano
  4. le noci
  5. le nocciole di monte (le avellane)
  6. le mandorle
  7. il candito di popone (melone)
  8. il candito di cedro
  9. le arance candite
  10. il limone candito (scorza)
  11. coriandolo
  12. cannella di Ceylon
  13. il pepe aromatico (piper cubebe)
  14. i chiodi di garofano
  15. la noce moscata

Successivamente vennero aggiunti altri due ingredienti, l’acqua e il fuoco, portandoli a 17, come le Contrade di Siena. 

Si susseguono altre ricette che, per la mia natura, ho voluto organizzare in una griglia in modo che – ai pochi superstiti lettori che sono riusciti ad arrivare immuni da sbadigli a questo punto – siano chiari i vari sviluppi della faccenda.

tabella-ricette-panpepato

*¹ Fior di farina

*² spezie ovvero i “polverini”, ovvero la mistura di spezie per il panpepato, prevedeva diverse varianti. Il PDF ne riporta due tra i più accreditati.

a) “Polverino” in uso nel XIX secolo: per 10 kg di buone spezie prendi 5 kg di coriandoli, 1kg di chiodi di garofano, 3 kg di macis, 1 kg di noci moscate.

b) “Polverino” di Suor Berta l’Abbadessa che, secondo una delle leggende, diffuse il panpepato nel senese: pepe garofanato 800 gr, pepe nero, 100 gr, chiodi di garofano, gr 340, cannella 300 gr, macis 100 gr, noci moscate, 160 gr, coriandoli, gusci di cacao, 100 gr. Le dosi chiaramente sono “industriali” e vanno riproporzionate all’uso casalingo.

Un’ultima pedante precisazione. Il documento a cui mi riferisco riporta l’uso del pepe garofanato indicandolo, tra parentesi, con la dicitura latina Piper cubebe. In realtà il Piper cubebe non è il pepe garofanato ma il cosiddetto pepe di Giava, più amarognolo. Credo che la ricetta originale prevedesse il pepe garofanato.

Vi lascio liberi, è ora di mettere le mani in pasta e di scegliere la ricetta che più vi aggrada.

Ricetta

ingredienti

(per circa 10 panpepati 8/10 cm di diametro)

 

  • Melone Candito, 120 gr
  • Arancia dolce candita, 80
  • Fichi secchi, 4 (cercate quelli più morbidi)
  • Mandorle non pelate, 250 gr
  • Noci, 120 gr
  • Farina 0, 180 gr
  • Miele millefiori,200 gr
  • Zucchero grezzo di canna, 200 gr
  • Ostie 

Polverino di spezie

  • Coriandolo, 3 ½ cucchiaini da caffè colmi
  • Cannella, 3 cucchiaini da caffè colmi
  • Pepe garofanato, 2 cucchiaini da caffè 
  • Noce moscata, 1 cucchiaino da caffè
  • Chiodi di garofano, 1 cucchiaino da caffè scarso 
  • Pepe nero in grani, 1 cucchiaino da caffè raso 

Preparate per prima cosa le teglie, chiaramente potete scegliere di farne 2 grandi e non 1o piccole. Imburrate e infarinate le teglie e disponetevi le ostie (si comprano in farmacia); fondo e pareti. Tagliate a pezzi grossolani la frutta candita che comprerete a pezzi grossi negli appositi negozi. Io ho comprato tutto da Armanino a Genova (via Sottoripa, 105 R; nessuno sponsor, è solo un posto magico). Mi raccomando nessuna frutta candita a dadini del super. Radunate tutto in una capace coppa e poi unite la frutta secca e la farina e circa 3/4  delle spezie macinate. Mescolate. Fate sciogliere lo zucchero insieme al miele, a fuoco moderato, fino a quando non inizierà a sfrigolare leggermente. Versate nella zuppiera e affrettatevi a girare energicamente l’impasto. Diverrà via via sempre più tenace. Fate raffreddare, giusto un pò per non ustionarvi le mani. Poi prendete delle pallette e riempite le teglie. Con della carta forno oleata e infarinata premete bene l’impasto cercando di appiattirlo e livellarlo. Infornate a 180° per 20 minuti circa se le forme sono piccole, 35/40 se le forme sono più grandi. Estraete dal forno. Se i pani risultassero gonfi al centro schiacciateli subito aiutandovi sempre con carta forno (questa volta pulita). Fateli raffreddare completamente poi spolverizzateli con il restante polverino.

 

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