Ah, l’Elba! Talvolta penso che l’esilio di Napoleone non sia stato poi così male! Se qualcuno di voi è stato su quest’isola toscana, sa bene cosa intendo. Diciamo che fu un esilio dorato, almeno per certi versi. Breve senza dubbio, visto che Napoleone vi soggiornò per circa un anno, tra il 1814 e il 1815 andando in seguito incontro al suo destino, la disastrosa battaglia di Waterloo. Nonostante il breve periodo in cui l’imperatore francese soggiornò all’Elba, l’isola conserva ben due residenze-museo che ci ricordano il suo passaggio: la Palazzina dei Mulini e la Villa di San Martino (da non confondere quest’ultima con la Villa San Martino ad Arcore… una casualità del genere vorrà pur dire qualcosa no?).

Ma l’isola d’Elba non è solo storia, mare e vacanze, ma anche e soprattutto viticoltura, la maggiore entrata per gli abitanti dell’isola nell’800, assieme allo sfruttamento minerario e alla pesca.

La storia della viticoltura dell’Elba è fatta, come spesso accade, di corsi e ricorsi storici che hanno segnato un progressivo decadimento della produzione ed una successiva lenta ripresa qualitativa.

Fino al 1860 l’Elba era una terra di viticoltori e marinai. Un terzo dell’isola era coltivata a vigna: 5000 ettari vitati su terrazzamenti in collina a sesto di impianto di 10.000 viti. Il vino prodotto veniva consumato in parte sull’isola ed in parte inviato sulla costa toscana, verso la zona di Bolgheri.

Tutto questo fino al 1970 quando il boom turistico cambiò l’economia e il paesaggio dell’isola. Più case, meno vigne era il motto di allora. Le coltivazioni vennero progressivamente abbandonate, arrivando a toccare il minimo storico di 100 ettari sull’intero territorio elbano. Il periodo fu contraddistinto da produzioni scadenti che interessarono, tra l’altro, l’Aleatico liquoroso, un prodotto di scarso pregio, venduto a basso prezzo.

Corsi e ricorsi storici, dicevamo, così per fortuna, intorno agli anni Ottanta, anche grazie a qualche lungimirante produttore venuto da fuori, si cominciò a reimpiantare le vigne. Nel 1987 fu costituita un’Associazione di Produttori che mise le basi per la riorganizzazione della viticoltura elbana che portò, nel 1999, al riconoscimento di un Disciplinare di produzione che sostituì quello ormai superato degli anni Sessanta.
Un produttore che apprezzo e che ho conosciuto recentemente a una degustazione di suoi vini è Arrighi, che si trova a Porto Azzurro, in località Pian del Monte. Gli ettari vitati sono 300, di cui 40 coltivati a solo Aleatico, il vitigno da cui si ottiene lo storico passito che recentemente ha ottenuto la Docg, l’ottava per la regione Toscana.

Per ottenere l’Aleatico la vendemmia dev’essere fatta ai primi di settembre, con un appassimento dei grappoli per contatto diretto col sole, per 7-10 giorni consecutivi. L’uva viene messa in cassette, controllata quotidianamente e girata ogni due o tre giorni, per favorirne l’appassimento.

Quello seguito dall’Azienda Arrighi è il metodo tradizionale, mentre altri viticoltori utilizzano dei tendoni semovibili che riparano l’uva dell’umidità notturna (guazza) e da eventuali precipitazioni atmosferiche. Il grappoli, infatti, sono soggetti a muffe e marciumi indesiderati, molto pericolosi per la produzione del passito. La fermentazione avviene a contatto con le bucce, con una resa massima del 30-35%. Questo significa che da 100 chili di uva si ottengono al massimo 30 litri di passito.

Tra gli altri vitigni coltivati dall’Azienda ci sono il Procanico e il Sangioveto (Sangiovese piccolo), da vigne di oltre 60 anni; il Moscato, il Procanico Rosa, il Biancone, l’Ansonica ed altri vitigni scelti a seguito di sperimentazione con l’Istituto di Viticoltura di Arezzo. E’ il caso del Manzoni, un vitigno di origine veneta, che si adatta molto bene al clima dell’isola, produce poco e ha grappoli piccoli difficilmente attaccabili dall’oidio e dalla peronospora. Altri vitigni alloctoni coltivati stabilmente dall’azienda sono il Sagrantino, lo Chardonnay, il Syrah, oltre ad ulteriori coltivazioni sperimentali che interessano vitigni come il Malbec, il Tempranillo, il Cabernet Sauvignon, il Pinot Nero e il Nebbiolo.

Il primo vino che ho degustato dell’azienda Arrighi è l’Eraora 2009, un Toscana Igt bianco prodotto dall’assemblaggio di Chardonnay e Manzoni. L’affinamento avviene in parte in acciaio, a temperatura controllata, ed in parte in barriques sur lie (una nuova ed una dell’anno precedente). Degustazione: giallo paglierino. Al naso emerge un aroma di erbe aromatiche (menta, basilico) ed una spiccata mineralità. In bocca ritorna la nota minerale accompagnata da una buona freschezza. Abbinamento: seppie alla Capoliverese

Il secondo vino degustato è il Tresse 2007, un Toscana Igt Rosso, da Sangioveto (33%), Syrah (33%) e Sagrantino (33%). Il diradamento in vigna è piuttosto spinto, con una raccolta che non supera mai il 1-1,5 chilo per pianta. Il vino fa un passaggio in barriques per 12 mesi e si affina, ulteriormente, per altri 6 mesi in bottiglia. Infine l’ultimo vino presentato è stato un Aleatico 2009, il passito di cui abbiamo già parlato. Degustazione: rosso rubino tendente al granato. Il bouquet sprigiona subito una marcata nota di cenere, arricchito da sentori balsamici e di spezie. Dopo poco emerge un aroma di caffè e liquirizia che completano il quadro olfattivo. In bocca è potente, con tannini vivi, ma eleganti. Abbinamento: trippa all’elbana.

Il terzo è l’Elba Aleatico 2009 : la vendemmia dev’essere fatta ai primi di settembre, con un appassimento dei grappoli per contatto diretto col sole, per 7-10 giorni consecutivi. L’uva viene messa in cassette, controllata quotidianamente e girata ogni due o tre giorni, per favorirne l’appassimento. Degustazione: rosso rubino carico. I profumi sono tipici del vitigno: viola, marasca e frutta cotta. In bocca è dolce ed avvolgente con una buona acidità che lo rende equilibratoma eleganti. Abbinamento: schiaccia ubriaca dell’Elba