vino e amore

Nel mestiere di sommelier, l’accordo perfetto esiste raramente. Per centrare una bella armonia fra pietanze e vini a tavola, tutti i commensali dovrebbero mangiare la stessa cosa – caso raro – oppure si dovrebbe servire una moltitudine di vini – caso molto difficile. Allora cerco di diventare l’uomo del compromesso. Ripiega abilmente su una bottiglia che riceve consenso, ma si sente spesso molto frustrato. Ecco perché l’operazione di costruire un abbinamento attorno ad un vino mi seduce.
A casa propria è più facile portar su una bottiglia dalla cantina e determinare in séguito i piatti che le permetteranno di esprimersi al meglio. Ma non c’è nulla di più soggettivo, di più inafferrabile, di più effimero che un accordo “perfetto”.

L’abbinamento ideale di vini e pietanze è molto difficile da codificare, una combinazione che ha funzionato bene in un dato momento, con una certa ricetta e determinati amici può non ripetersi mai, tanto la sensazione di accordo sfugge alla razionalità. Non esiste una verità assoluta in questa materia, ed il mio ruolo non è quello di decretare buono o cattivo un abbinamento. Se qualcuno ama il Sauternes con le ostriche, in nome di che cosa posso dirgli che ha torto? Il buon senso non permette di capire tutto, né di giudicare tutto.
Le regole accademiche prescrivono di non servire vino rosso con le uova, l’aceto, gli asparagi o le verdure verdi, di preferire il bianco con il pesce, e di serbare il vino migliore, il più maturo, per la fine del pasto, con i formaggi. Con l’esperienza ci si accorge che la realtà non è così rigida. Certi vini rossi sono complici perfetti del pesce, ma bisogna sceglierli giovani, meno tannici, e servirli un po’ più freschi. Alcuni bianchi accompagnano bene i formaggi, e non si tratta sempre di quelli che ci si aspetterebbe. Nulla è mai fissato o definitivo, le abitudini cambiano, ed i vini anche.
Più si penetra nell’universo del vino, più si progredisce, più ci si sbaglia. Ecco perché, in questo esercizio difficile che è la ricerca dell’alleanza armoniosa tra vini e pietanze, non bisogna essere categorici. Se non sono in grado di distinguere un pauillac da un Saint-émilion in una degustazione alla cieca, come posso imporre uno invece dell’altro su di un cosciotto di d’agnello? È evidente che andranno bene entrambi. Allo stesso modo, un cacciatore che porta a casa una beccaccia, e il pescatore una trota selvatica, tireranno fuori la loro miglior bottiglia, e l’accordo poco accademico che ne scaturirà si rivelerà comunque perfetto ai loro occhi. Tutto ciò è relativo. Bisogna saper essere tolleranti, ed io lo sono sempre più. Un sommelier è una persona che ama i vini. Sa anche che il vino è il frutto del talento di un vignaiolo, e dell’imprevedibilità del clima: un'”opera”, alla cui scoperta accompagna il cliente per evitare che ci passi accanto.

Io amo il vino. L’ho amato fin dall’adolescenza, come lo si beve a quell’età, per l’ebbrezza che procura.Poi ho avuto voglia di andare oltre, di capire che cosa vi si nascondeva dietro. E ho trovato il vino, certo, ma soprattutto degli uomini.

Mi hanno affascinato per la loro saggezza, la loro filosofia, la loro serenità nei confronti della natura. Sono spesso così fieri delle loro vigne! E diversamente dai contandini, non si lamentano mai delle loro sfortune. Non consiglierò mai a sufficienza di andare a comprare il vino direttamente dai proprietari. È lì che potrete avvicinare al meglio il vino, le nozioni di cru, il lavoro del vignaiolo. Ed il vino sarà migliore poiché carico di affettività.
Il vino richiama questa parte di magia, e il sommelier non è altro che un venditore di sogni che amplifica il fascino iniziale di un’etichetta. Deve essere così, il vino non può essere qualcosa di anonimo; l’aura che circonda una bottiglia di Château d’Yquem abbellisce immediatamente la bevanda. Ma un vino deve sempre essere buono. È il leitmotiv di Henri Jayer, “il papa di Vosne”. In botte, prima o dopo il suo imbottigliamento, il vino non ha scuse. Eppure l’ambiente rigurgita giustificazioni bell’e pronte quando un vino non è buono… Ognuno protegge i propri figli adorati. Eppure bisogna tendere all’obiettività a scapito delle amicizie, dei rapporti umani. Bisogna diffidare dai pregiudizi, e non esitare a dire che un vino è cattivo, se lo è, qualunque sia la sua etichetta.
Mi interrogo sempre di più sulle degustazioni professionali – alle quali pure partecipo – in cui si espelle il vino senza berlo. Si finisce per giudicare i vini senza regole, creati solo per impressionare e vincere. In un secondo tempo ci si accorge che non si comportano poi così bene a tavola. Non è lo scopo del vino nella nostra cultura occidentale e francese. Io vorrei che il vino restasse a tavola. È la sua vocazione. Libera l’audacia, riscalda i sensi, aiuta l’innamorato a svelare la sua fiamma, disinibisce il timido… Il vino permette di evadere, di sognare, di viaggiare.
Nel contempo, si collezionano vini come quadri. Si costruiscono cantine la cui finalità non è di ospitare vini per berli al momento della loro migliore espressione, ma di speculare. Non è più la cantina dell'”uomo onesto”. Allora è meglio collezionare bottiglie vuote, etichette, tappi… Trovo il ricordo di un Barolo 1971 più commovente e più ricco di quella stessa bottiglia piena ad un’asta. Non siamo ricchi della nostra cantina, ma delle bottiglie che abbiamo bevuto.
Le foto che illustrano questa opera mostrano spesso le condizioni migliori per arrivare ad un abbinamento. Ho infatti scartato i bicchieri troppo grandi, a volte un po’ barocchi, che rivelano più i difetti che le qualità del vino, e i bicchieri intagliati, che non permettono di considerare il corpo, la densità, la trama di un vino. Disdegnando l’arte della tavola, ho deciso di mettere l’accento sul vino, sul suo colore, ed ho quindi scelto delle tovaglie chiare, invece che delle graziose tovaglie stampate e colorate. Sono anche restato sobrio nelle descrizioni – benché creda che ci si possa permettere di tutto, se si è sinceri… – provando ad evitare di essere conciso e scarno, tanto quanto troppo pedante ed immaginifico. Colui che vuole descrivere e trasmettere le sensazioni provate degustando un vino… allorché la bottiglia non c’è più, deve scartare il vocabolario poetico, e restare credibile.

Ho scelto dei cru prestigiosi, e dei vini più modesti. Ne ho fatto degli apripista. Grandi o piccoli, offrono tutti lo stesso piacere. Non sono per forza le cuvées più rinomate a dar vita ai migliori ricordi. Non sono le più belle bottiglie che procurano le gioie più grandi.
L’accordo migliore rimarrà sempre un accordo di ambienti, di persone, di umore, di luoghi. Val più un cattivo abbinamento discusso e condiviso, che un bel matrimonio inascoltato e inapprezzato. Il vino è innanzi tutto condivisione e comunione, con tutta la forza simbolica che questo evoca nelle nostre civiltà. Ma di cosa si sta parlando: di abbinamenti o relazioni amorose?